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Uomini, topi e scarafaggi
La Lega che pena! (5)
Don Chisciotte


genocidio dei Tutsi 1 genocidio dei Tutsi 2

Ruanda, 1991.
Negli studi delle emittenti radio più popolari, Radio Ruanda o Radio Mille Collines, i tutsi vengono chiamati “scarafaggi”. I presentatori, e tra questi i due più famosi, Simon Bikindi e Kantano Habimana, incitano apertamente all'eliminazione dei tutsi attraverso sketch e canzoni.
Nella primavera del 1994, uno dei più orribili genocidi, fu compiuto nel piccolo stato africano. Circa ottocentomila persone furono uccise e fatte a pezzi, una ad una, dai loro vicini.

Italia, 2008.
Il 9 aprile, sulle onde di Radio Padania Libera, i rom vengono paragonati a un qualcosa di peggio dei “topi”. Dal mercato della Bovisasca, in Milano, il deputato Matteo Salvini, esponente di punta della Lega Nord lombarda, rispondendo ad una signora dichiara: “…i topi sono più facili da debellare degli zingari. Perché sono più piccoli…”.
Il mese successivo, a seguito di un nuovo atto criminoso compiuto da una giovane rom, a Napoli, Milano e altre città del paese, vengono incendiati diversi campi nomadi, altri vengono assediati, costringendo i loro abitanti ad abbandonarli, in preda al terrore.

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Lascio ai tuttologi – razza padrona, dell'epoca globale in cui viviamo – le disquisizioni sulle differenze storico-politiche-sociologiche-economiche-umorali nonché viscerali fra i due accadimenti. Che è ovvio che ci siano.
Ma altrettanto ovvio dovrebbe essere il fatto, che a nessuno, ripeto nessuno, dovrebbe essere permesso, di paragonare un suo simile a uno scarafaggio, ratto o topo senza esser denunciato per oltraggio. Oltraggio non alla pubblica decenza ma all'umanità intera, colpita nella sua intimità, unicità, nella sua essenza.
A nessuno dovrebbe essere permesso di bestemmiare in tal modo, senza essere condannato e isolato dalla comunità, in cui vive, senza essere costretto a pubbliche scuse. Lo si è fatto, in nome del gas&petrolio – con il ministro Calderoli, costretto a pubblica ammenda nei confronti della Libia – motivo in più perché sia fatto in nome di una parte dell'umanità.
Perché, aldilà delle differenze fra i vari accadimenti, rimane una certezza, la disumanizzazione dell'altro, è uno dei passaggi inevitabili nella catena dell'odio, della violenza, della sopraffazione.

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Li chiamavamo “scarafaggi”, come quegli insetti che si attaccano ai vestiti senza andare mai via, tanto che bisogna schiacciarli per riuscire a liberarsene. Da parte nostra non volevamo più vedere i tutsi sui terreni. Cominciavamo a immaginare un'esistenza senza di loro. In un primo tempo eravamo favorevoli a sbarazzarcene, ma senza ucciderli. Se avessero accettato di andar via, verso il Burundi o altre destinazioni a loro favorevoli, avrebbero avuta salva la vita, e noi non avremmo accumulato le disgrazie dei massacri…
I tutsi avevano accettato tante di quelle carneficine senza mai protestare, avevano atteso così spesso la morte o i colpi brutali senza alzare la voce, che in qualche modo abbiamo pensato nel nostro intimo che in fondo per loro, era destino morire qui e adesso, tutti insieme. Abbiamo pensato che se il nostro lavoro non incontrava alcun ostacolo è perché era una cosa che andava fatta. Questa idea ci ha aiutato a non pensare al lavoro che stavamo facendo.
(Ignace, uno dei tanti responsabili del genocidio in Ruanda – uno come tanti. Testimonianza tratta dal libro “A colpi di Machete” di Jean Hatzfeld).


Don Chisciotte



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  19 maggio 2008